Sono 550 metri di bellezza quelli che vi regala Civitaquana, in provincia di Pescara, dritta come un fuso su una collina a secolare controllo della vallata del fiume Nora.
Da questa posizione, il massiccio della Maiella, la Montagna madre degli abruzzesi, appare in tutte le sue sfumature, impreziosendo il paesaggio da cartolina.
Territorio antico quello del borgo, che compare nell’anno 883 quando parte dell’abitato è detenuta dai Benedettini di Sant’Angelo di Galbanico (presso Loreto) nella Contea di Penne, con il nome di Civitas Quana e in seguito Aquana, interpretata come “città delle acque”, in qualche modo collegata direttamente o indirettamente con opere idrauliche, grosse cisterne, le cui tracce sono emerse sotto la piana di Colle Quinzio, e antichi acquedotti sotterranei di epoca romana rinvenuti anche fuori del suo territorio.
Il Castello, che in origine gravitò nell’orbita delle grandi abbazie vicine, fu sotto il controllo di due feudatari di “grido”: Sordello da Goito, poeta e trovatore, reso celebre dal ritratto che Dante Alighieri tracciò nei canti VI, VII e VIII del Purgatorio, che lo ebbe nel 1269 da Carlo I d’Angiò e, molto più tardi, i Leognani Fieramosca, la famiglia del famoso Ettore, il capitano che guidò l’esercito italiano nella Disfida di Barletta del 1503 contro le armate francesi.
Nel paese, oltre ad ammirare Palazzo Leognani Castriota, di costruzione settecentesca, non perdete la visita alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, fondata dai Benedettini nella seconda metà del XII secolo, con un impianto romanico di matrice lombarda.
All’interno, trovate tre navate divise da pilastri in cotto, un interessante rilievo raffigurante un Santo databile al XII secolo, con le mani ritratte una con il palmo e l’altra con il dorso, un affresco che raffigura San Martino e la cappella gentilizia dedicata a San Rocco. Lungo il fianco sinistro della chiesa si eleva una massiccia torre campanaria, con la parte inferiore in pietra, del 1463, mentre quella superiore è del ‘700.
Dall’adiacente belvedere, buttate gli occhi sull’infinito panorama che mette a nudo gli Appennini, in forma smagliante, tutti per voi.
Siete in terra di arrosticini, che la tradizione fa risalire proprio nella provincia di Pescara, a Villa Celiera, quindi vi spetta un traboccante piatto di deliziosi tocchetti di carne di pecora arrostiti, le cosiddette “rustelle”.
Siete anche in terra di maccheroni alla chitarra, il cui strumento per realizzarli arriva dalla provincia di Chieti (San Martino sulla Marrucina), ideato dai “setacciari” del territorio (che andavano di casa in casa ad aggiustare gli attrezzi della civiltà contadina) grazie all’introduzione in Italia del filo d’acciaio o acciaioso, diffuso dai tedeschi. Il suo scopo era semplice: rendere più facile alle massaie il taglio esatto delle “tajarelle”.
Assaggiateli conditi con ragù di carne e ringraziate quegli artigiani, grandi lavoratori.