A Fara Filiorum Petri vi sentirete rilassati e distesi proprio come il minuscolo borgo in provincia di Chieti, disteso al centro della Val di Foro, tra le colline di Casacanditella e i Colli faresi.
Un paesaggio bucolico, dove è diffusa la coltivazione degli olivi e degli alberi da frutta, che sembra fermo nel tempo, con alcune strade in terra battuta a memoria di precedenti sistemazioni agrarie tra i secoli XV e XVIII. Percorrete, tra queste, via Madonna, contornata da lunghi filari di querce, e vi sentirete trasportati in un mondo a parte, antico, scandito solo dal ritmo della natura.
Vivevano così i pastori che con le greggi percorrevano nel periodo della Transumanza il Tratturo Centurelle-Montesecco (che con i suoi 155 chilometri collegava l’Aquilano con il Molise) di cui un tratto passava al limitare del borgo. Ma è difficile che lo intercettiate perché in gran parte alienato e destinato ad usi produttivi.
Pensate che una volta, nell’Alto Medioevo, il territorio era governato dai Longobardi, che hanno lasciato al borgo la cosa più importante: il nome. Fara deriverebbe infatti dal tedesco “fahren”, che significa nucleo demografico, raggruppamento di più persone.
Fondamentale fu anche la presenza benedettina di San Liberatore a Maiella che allo scorcio dell’Anno Mille possedeva vasti terreni nella zona.
Il feudo appartenne in seguito a moltissime famiglie nobiliari, come Colonna, Cardone, Barone di Capua, Costa e Spinelli, che nel paese hanno lasciato la loro impronta.
Andate a visitare la chiesa del SS. Salvatore, di origine altomedievale, con un impianto benedettino a tre navate dell’XI secolo, di cui una successivamente trasformata in portico. All’interno è conservata una bella croce processionale della scuola di Nicola da Guardiagrele, uno dei grandi artisti italiani dell’età tardo-gotica.
Fate una visita anche alla chiesa di Sant’Antonio Abate, esistente sin dal 1365, con le statue del Santo protettore degli animali e di Sant’Agata e, visto che siete in vena d’arte, di fede e di ricordi, andate a vedere ciò che rimane del complesso di Sant’Eufemia, con il perimetro murario, l’abside e l’arcone gotico d’ingresso.
Eppure, una volta il monumento religioso, fondato insieme all’omonimo monastero da San Aldemaro di Capua nel 1004, era una potenza. Nei pressi, scaturiva una sorgente “miracolosa” (oggi prosciugata) dedicata a Sant’Eufemia, meta di pellegrinaggio in quanto la tradizione le riconosceva il potere di far tornare il latte alle donne e agli animali.
Se siete appassionati di folclore, non mancate alla Festa delle Farchie (parola di origine araba che significa torcia), in occasione della ricorrenza di Sant’Antonio Abate, in cui la comunità di Fara dà fuoco a enormi fasci di canne dalla circonferenza di oltre un metro e un’altezza che a volte supera anche i dieci.
Approfittate per gustare il dolce tipico della tradizione, “lu serpendone di Sant’Antonio”, e conoscere da vicino la Cipolla bianca di Fara Filiorum Petri, Presidio Slow Food, delizioso ortaggio dalla forma piatta e dal sapore dolce e aromatico.
Lo coltivavano già nel 1300 i monaci di Sant’Eufemia.