La grotta del Colle è una cavità naturale aperta sul versante nord-orientale della Maiella, a quota 550 m sul livello del mare, in località Costa Le Solagne.
Oltrepassato un grande arco di roccia, largo oltre 15 m, che ne costituisce l’ingresso, si accede a un ampia sala irregolarmente rettangolare, di 40 x 60 m, alta tra i 4 e i 12 m. Un cunicolo, a quota più alta del piano, si apre sulla destra dell’ingresso. Nella cavità è ancora attivo il fenomeno dello stillicidio delle acque, a cui si deve la formazione di numerose stalattiti.
Le emergenze archeologiche visibili riguardano il piccolo edificio sacro che sorge all’ingresso della cavità, parzialmente al suo interno, su una preesistente struttura tradizionalmente nota come “tempio italico”. La piccola chiesa, sede forse già in età longobarda di un culto rupestre dedicato a Sant’Angelo, nel medioevo rientrò nelle pertinenze del monastero di San Salvatore a Maiella; in seguito è denominata Santa Maria in Cryptis. Le indagini archeologiche a più riprese condotte nel sito hanno verificato la continuità di frequentazione della grotta dal Paleolitico superiore fino almeno alla piena età medievale. Mentre per le fasi più antiche (Paleolitico, Neolitico, Eneolitico e dell’età del Bronzo) la destinazione d’uso non è evidente, la valenza culturale della grotta è sicuramente documentata a partire dall’età arcaica, alla quale è da riferire la celebre statuetta femminile bronzea nota come “Dea di Rapino”, e interpretata dal Galli come dea Cernia.
Con l’età ellenistica la funzione religiosa del sito è più evidente, come testimonia la massiccia presenza di materiale votivo e soprattutto la cosiddetta Tabula Rapinensis, una piccola lamina di bronzo su cui è incisa una iscrizione in dialetto marrucino. Si tratta di una legge sacra riguardante il culto di Giove e Giovia a cui è connessa la pratica della prostituzione sacra. Ulteriore riferimento al culto di Giove sembra costituito dalla gemma con raffigurazione di Zeus in trono, rinvenuta nelle immediate vicinanze della grotta.
La Dea del III sec. a. C. è attribuita al Maestro Rapino e presenta un volto con tratti ben marcati (naso prominente, mento aguzzo), con capelli raccolti dietro la nuca, a formare probabilmente una treccia e reca nella mano destra un oggetto circolare con tre spighe incise, interpretato come focaccia. Indossa una veste lunga fino ai piedi, coperta da un ampio mantello leggermente più corto, cucito sulle spalle. La statuetta è espressione del mondo naturale e agrario in particolare, in quanto divinità della fertilità, dispensatrice delle messi e quindi della vita; come dea legata alla terra e ai cicli della vita vegetale, qui simboleggiati dalle spighe di grano, nato dalla terra, mietuto, seppellito e rinascente, è però anche il nume che accoglie l’uomo alla sua morte, in un processo eterno di rinnovamento.
A Chieti, presso il Museo Archeologico Nazionale è presente l’istallazione dedicata alla Grotta del Colle di Rapino, l’antro sacro della Maiella con la straordinaria statuetta della dea di Rapino.
L.T. 21-12-2020
Foto 1 Grotta del Colle di Rapino di Francesca Mascioli