Il boccone si scioglie in bocca come fosse burro, sprigionando tutto l’aroma di peperoni, cipolle, chiodi di garofano.
State gustando la “capra alla neretese”, un evergreen del paese, in provincia di Teramo, diffuso anche in altre località del circondario.
E mai carne risultò più morbida al vostro palato.
Il segreto di questo piatto è il lungo tempo di cottura, che “ammazza” il pungente sapore caprino e nello stesso tempo, con i dovuti accorgimenti, ne preserva tutta la sua particolarità.
Il tempo, dunque, è la parola chiave del vostro viaggio alla scoperta del minuscolo centro: quello che serve per stufare come si deve la tenace carne campagnola, e che dovete impiegare per godere delle piccole grandi bellezze del territorio.
Tempo lungo, tempo slow.
Siete del resto in un borgo di antiche e nobili tradizioni che ha bisogno di tutta la vostra attenzione per essere conosciuto e apprezzato.
Secondo alcuni studi, fu fondato dai Liburni, provenienti dall’opposta riva dell’Adriatico, che abbandonarono le sponde dalmate del fiume Neretva (Narenta), stabilendo il loro primo nucleo abitativo in Val Vibrata, chiamandolo Nereto: malinconico tentativo di ricordare i luoghi d’origine lasciati per sempre.
L’antichità del paese è inoltre attestata da reperti del periodo neolitico, recentemente scoperti in contrada Crocetta, in particolare i resti di un’abitazione neolitica, indicata come “capanna di Paialonga”.
Nel Medioevo fu compreso nel Ducato di Spoleto, quindi entrò a far parte del Regno delle due Sicilie, poi dello Stato della Chiesa e, di nuovo, del Regno di Napoli.
Le zone di confine sono così. Indecise.
Ammirate le pregevoli testimonianze artistiche, quali la Chiesa di San Martino (una delle più antiche d’Abruzzo), a mezzo km a sud del paese, risalente al primo quarto del XII secolo, che conserva nel portale un antico rilievo raffigurante “San Martino e il povero”, e la Chiesa Madre, con un bel campanile in cotto di epoca tardo rinascimentale, e con gli affreschi del pittore Giuseppe Toscani, raffiguranti il “Miracolo della Madonna della Consolazione”. La leggenda narra infatti che fu proprio grazie a un intervento della Madre Celeste e dei suoi Angeli, che nel lontano 1798 il paese fu salvato da un saccheggio sul punto di essere commesso da truppe francesi.
Sul fronte dell’arte contemporanea, trovate alcuni particolari monumenti, come due figure in bronzo davanti al comune, dello scultore Augusto Murer, Sandro Pertini, cittadino onorario, dell’artista Michele Zappino, la Madonna della Consolazione, di Ubaldo Ferretti e altre opere in bronzo a firma del neretese Francesco Perilli.
Non lasciate Nereto se non dopo aver assaggiato un altro piatto tipico: il tacchino alla neretese, che si tramanda da antiche generazioni. La tradizione locale vuole che lo si consumi specie nel giorno di San Martino.
Cos’altro vedere:
- La chiesa del Suffragio
- La chiesa di San Rocco
- La Fontana Vecchia