La profonda valle solcata dal fiume Alento, nel Parco nazionale della Maiella, è il cuore di Serramonacesca e della sua antichissima storia.
Tornate indietro di mille anni e immaginate questo luogo intrecciato di carrarecce, sentieri e mulattiere – gli stessi che oggi ancora lo percorrono – frequentato da religiosi: lassù un monaco a dorso di mulo, che risale la collina, quaggiù un altro, che aziona il mulino sull’alveo del fiume, mentre una campana echeggia nella vallata con il sottofondo di scalpiccii di carri in lontananza.
Il “film” che state girando con la vostra fantasia è la vita del monastero di San Liberatore a Maiella, nume tutelare di Serramonacesca, la cui storia seguì le sue sorti.
Dopo aver percorso un tratto dell’alta valle dell’Alento e aver incrociato una cappelletta, a circa 2 km dal borgo, vi appare dal folto di cipressi il monumento religioso: uno tra i più significativi esempi di architettura romanica abruzzese e tra le più antiche chiese medievali dell’ordine benedettino cassinese.
Una tappa imperdibile nel vostro tour alla scoperta della regione.
Una comunità di monaci e un’antica abbazia esistevano già in questo luogo intorno all’884, con una leggenda che ricollega a Carlo Magno la costruzione della struttura, sorta nel campo in cui si svolse la battaglia vinta contro i Longobardi nel 781.
Dopo il terremoto del 990, che distrusse il monastero, iniziò una fase di ricostruzione e ingrandimento dell’edificio e della chiesa, abbellita di altari e pitture, grazie all’azione di Teobaldo, inviato “speciale” da Montecassino e presumibilmente continuate dall’abate Desiderio, altro potente religioso dell’abbazia benedettina.
Quel che potete vedere oggi della possente architettura religiosa, tutta in pietra della Maiella, accuratamente lavorata, è il risultato di una serie d’interventi risalenti agli anni 60 del secolo scorso, che ha conservato pochi elementi risalenti all’origine.
Autentico è l’esterno della chiesa dalla facciata a capanna in cui si aprono i tre portali, testimoni dell’opera dell’abate Desiderio e dell’epoca angioina.
All’interno, a tre navate – con quella centrale ornata da una rara composizione geometrica policroma databile al 1200 – potete ammirare il bell’ambone ricostruito con bassorilievi del XII secolo, e gli affreschi, un tempo uniti, che raffigurano il primo, il monaco Teobaldo, il secondo, tracce di figure di santi.
Nelle vicinanze, si aprono la Grotta Eremo di Sant’Onofrio, una chiesa rupestre addossata alla roccia, che custodisce la statua del Santo, di particolare pregio, realizzata in pietra, e la Grotta delle colonne, una galleria di dimensioni anguste, ma di grande interesse per la presenza di numerose incisioni e iscrizioni dell’epoca medievale.
Gustate i piatti tipici del territorio, come “Tajarille e fasciule”, pecora alla “callara”, arrosticini e pizza fritta.
Scegliete voi.